Considerare gli errori da un altro punto di vista

Quando ci rendiamo conto di aver commesso un errore affiora in noi, in molti casi, un senso di colpa. Il concetto di colpa – e la percezione dello stesso – è tipico della cultura occidentale. Nel buddhismo il concetto di colpa assume una prospettiva diversa. Esso è un insieme di varie afflizioni, come ci ricorda Anila Trinlé, che vanno dall’attaccamento verso le nostre rappresentazioni della realtà, all’avversione legata al fatto di non volere ciò che è accaduto. A questi elementi si aggiungono anche l’opacità mentale dovuta a una percezione limitata degli eventi. Anche l’orgoglio ha la sua parte, perché, come sottolinea Anila Trinlé “da dove verrebbe l’idea secondo cui noi non dovremmo mai commettere errori?”.

Il peso dei “se”

Quando commettiamo un errore è facile cadere in un groviglio di domande e di frasi, le quali iniziano tutte con la parola “se”.Se lo avessi saputo prima…”, o “Se me ne fossi accorto…”, “… non avrei agito così”. La mente inizia a elucubrare una serie di possibili scenari che non si realizzeranno mai, perché tutto è già accaduto. Avanzando in questo modo si fuoriesce dalla situazione presente per vivere in una pseudo-realtà fatta da tanti “condizionali”. Per esempio, possiamo rimanere così tormentati da un errore da continuare a ripetere “non avrei dovuto reagire in quel modo…”. Ma quelle fatidiche parole sono già state pronunciate, o quel gesto è già stato compiuto. Cosa fare dunque dopo aver commesso un errore?

Non rimproverarsi

Quando commettiamo un errore ed emerge il peso del senso di colpa iniziamo ad affliggerci. Incominciamo a rimproverarci. Così facendo ci esponiamo all’elaborazione di giudizi negativi verso noi stessi, che rischiano di far emergere un senso di sfiducia nei nostri confronti. Si aprono le porte alla disistima. Tutto ciò può creare un cortocircuito: l’errore crea colpa, che a sua volta crea giudizi negativi verso di sé, che a loro volta provocano l’emergere di una mancanza di autostima.

Imparare dai propri errori

Ciò che si dimentica spesso è che l’errore fa parte di un processo di apprendimento: se non sbagliamo mai non possiamo avanzare. Da piccoli, prima di imparare a camminare, quante volte siamo caduti? Quelle cadute le consideriamo errori? No. Gli sbagli, considerati dunque da un’altra angolazione, sono fonte di apprendimento. “Accettiamo la nostra imperfezione! È semplicemente osservando il nostro modo di operare e individuando le nostre imperfezioni, che possiamo trasformarle”, ci ricorda Anila Trinlé. Comprendendo quindi i fattori che ci hanno portato a commettere quell’errore, accresciamo la conoscenza di noi stessi, comprendiamo meglio la realtà e impariamo a non ripetere più quella certa azione o quella certa espressione che ha causato proprio quell’errore. Come sottolinea Anila Trinlé: “Prendere coscienza delle conseguenze dei nostri atti implica una visione corretta delle situazioni che viviamo e una lucidità che, sfortunatamente, spesso ci manca”. Quindi occorre nutrire consapevolezza e lucidità mentale per comprendere la realtà e per capire che gli errori servono per farci crescere e per non commetterli più.

Chi è Anila Trinlé

È una monaca buddhista. Il suo nome è iniziato a circolare anche fuori dal mondo buddhista grazie ai suoi libri e alle sue conferenze, in cui l’approccio buddhista viene portato nel quotidiano per analizzare ed elaborare nuove soluzioni alle problematiche della società odierna. Collabora con il centro buddhista Dhagpo Kagyu Ling e con il Dhagpo di Bordeaux.

Per approfondire si veda il libro Il dono dell’errore” di Anila Trinlé (Edizioni Il Punto d’incontro)

Lascia il tuo commento

Per favore inserisci il tuo nome.
Per favore inserisci commento.