In varie tradizioni contemplative orientali, come nello yoga integrale di Swami Satchidananda, è centrale coltivare la compassione. In sanscrito, la parola compassione viene tradotta con il termine “Karuna”. A sua volta, Karuna fa parte delle cosiddette quattro qualità sublimi, o condizioni mentali positive, chiamate “Brahma Vihara”. Oltre a Karuna, le altre qualità sublimi sono: Maitri (Metta in pali), ovvero la bontà illimitata verso tutti gli esseri; Mudita, gioia infinita per la liberazione dal dolore da parte di un altro essere; Upeksha (o Upekkha), ovvero illimitata imperturbabilità verso amici e nemici. Attraverso la meditazione si possono sviluppare queste condizioni mentali. Di seguito approfondiamo il concetto di compassione, Karuna.
Diminuire la sofferenza altrui
Karuna significa compassione attiva e si riferisce a quelle azioni che contribuiscono a diminuire la sofferenza altrui. Per questo si parla di “compassione attiva”: uno stato che implica una com-partecipazione a ciò che l’altro sta vivendo. Questa forma di compassione non ha confini, né pregiudizi e si estende quindi a tutti gli esseri viventi. Si prova compassione quando vediamo altri esseri (sia umani, sia animali, o altre creature come le piante) soffrire e si cerca di aiutarli, in base alle proprie capacità e ai propri mezzi. L’azione dell’aiuto nasce poiché si è “toccati” da ciò che sta attraversando un altro essere. È una compassione attiva, in quanto si agisce per cercare di dare il proprio contributo affinché vengano meno le cause che provocano la sofferenza dell’altro. Per nutrire questo tipo di compassione occorre essere consapevoli dell’interdipendenza di tutti i fenomeni e di tutti gli esseri. Sviluppare questa forma di compassione non significa aggiungere su di sé preoccupazioni o fardelli, bensì vuol dire relativizzare i propri problemi.
Compassione verso di sé
Il concetto di Karuna non si riferisce soltanto alla compassione verso gli altri, ma anche verso se stessi. Un eccesso di auto-critica può minare la fiducia nelle proprie capacità. Quando si commette uno sbaglio, piuttosto che giudicarsi in modo negativo occorre capire la causa o le cause dello sbaglio in modo da non commetterlo una seconda volta. La compassione verso se stessi ci mostra la nostra vera natura di esseri umani. L’imperfezione e l’impermanenza fanno parte della vita. Quando si cade in errore la compassione verso di sé permette di rialzarsi più facilmente, con maggior slancio e coraggio.
La leggenda di Tara
Nella tradizione buddhista si narrano molte storie legate al concetto di compassione. Tra queste vi è la leggenda di Tara, divinità che rappresenta proprio “Karuna”, la compassione, ed è altresì un’incarnazione di bodhisattva. Il nome Tara significa “la salvatrice” o anche “stella”, colei che indica la via. La leggenda racconta che il Buddha Avalokiteshvara, mentre piangeva per le sofferenze e le miserie del mondo, fece nascere dalle sue stesse lacrime un lago, dal quale uscì uno splendido loto in boccio. Quando i petali del loto si aprirono, al centro del fiore vi era Tara, la Salvatrice.