Yama, Niyama e tutela della Natura

Il 3 marzo si celebra la Giornata mondiale della natura. È un’occasione per ricordare che “noi siamo natura”, che non c’è alcuna separazione tra l’essere umano e il nostro pianeta.

È quell’unità insita nella pratica Yoga. Questa antica e quanto mai attuale disciplina, nonché filosofia, ci ricorda l’interrelazione tra microcosmo e macrocosmo. Il concetto di “unione” è fondamentale nello Yoga. La stessa parola “yoga” deriva dalla radice yuj, che significa “unire”, ma può essere reso anche con “unificare”. Non si tratta solo di creare quell’unità tra mente, corpo e anima, ma anche un’armonia tra individuo e ambiente.

Come aveva sottolineato lo studioso di Indologia e Storia delle Religioni Georg Feuerstein (1947 – 2012), tra i maggiori esperti della tradizione Yoga, i praticanti sono coinvolti nelle questioni ambientali, perché cibo non sano, pregno di sostanze chimiche, influisce sulla salute del corpo, così come l’aria inquinata ha effetti sull’assorbimento del prana.

Anche i principi etici e le regole di comportamento sociale (Yama), nonché le discipline psicofisiche di autocontrollo (Niyama) portano il praticante sia a rispettare e proteggere la natura, sia a sentirsi parte di essa.

Ahimsa, la regola e il principio della non-violenza, indica l’importanza di non causare del male, né di ferire alcuna forma di vita. Questo precetto morale spinge dunque a rispettare se stessi, gli altri e anche l’ambiente in cui viviamo.

Asteya, che significa “non rubare”, indica la volontà di non appropriarsi di ciò che non ci appartiene; e non si riferisce solo agli oggetti materiali, ma anche alle cose intangibili, come le idee, e anche alla natura. La natura non ci appartiene.

Shaucha ci invita a una purificazione sia esterna, sia interna. Il processo di purificazione è inteso in senso integrale: del corpo, della mente, delle emozioni, ma anche dell’ambiente in cui si vive. Avviare tale pulizia olistica ci permette di ri-trovare un equilibrio interiore e un’armonia tra noi e la natura.

Santosha, l’appagamento, ci fa apprezzare ciò che si è e ciò che si ha, evitando lo sfruttamento intensivo delle risorse del pianeta, senza adottare un approccio sostenibile ed etico.

Osservare Aparigraha, la non-cupidigia, significa allontanarsi dall’avidità e dal materialismo.

Seguendo dunque questi principi non solo intraprendiamo un percorso di crescita interiore e spirituale, ma sviluppiamo quei semi fondamentali per proteggere la natura e il nostro rapporto armonioso con essa.

Articoli correlati

Lascia il tuo commento

Per favore inserisci il tuo nome.
Per favore inserisci commento.