La meditazione viene spesso definita un “ritorno a casa”. Negli Yoga-Sutra di Patanjali la meditazione viene chiamata Dhayana. Essa è lo stadio successivo alla fase della concentrazione definita Dharana. Sogyal Rinpoche, maestro buddhista di fama mondiale, definisce la meditazione come “un processo attraverso il quale le apparenze dei pensieri e delle emozioni vengono superate per arrivare lentamente a penetrare la natura autentica della mente”. Se la meditazione consiste nel dedicare del tempo “all’addestramento della mente” per placare la caotica turbolenza dei pensieri, si possono comunque praticare in numerose circostanze le cosiddette pratiche informali.
In generale, si tratta di portare l’attenzione cosciente, in un dato momento, all’attività che si sta compiendo. Si può portare la consapevolezza all’atto del mangiare, o del lavare i piatti, o del camminare. Si tratta di azioni che vengono svolte spesso per abitudine, o senza adottare uno sguardo consapevole. Se invece si imparano le pratiche informali si può portare la meditazione, o almeno la visione consapevole e profonda della meditazione, nella vita quotidiana. Per esempio, mentre si sta cenando si può portare l’attenzione prima all’ambiente, poi ai colori e alle caratteristiche della tavola imbandita, per poi concentrarsi sul sapore e sui profumi delle varie pietanze.
Portando consapevolezza alle emozioni e alle sensazioni che si provano nel momento del pasto si lavora sulle proprie capacità di attenzione e di concentrazione. La pratica informale si può adottare mentre si guida. Si può sfruttare il viaggio per focalizzarsi di tanto in tanto sui pensieri o sulle sensazioni che si provano. Durante la guida dell’auto si può ricorre anche all’ascolto del respiro per capire se si è rilassati o agitati o innervositi. Quando si inizia a introdurre la pratica informale nella vita quotidiana si incomincia a essere più consapevoli di se stessi e delle proprie reazioni.