di Antonella Nardone
La Mindfulness non è una tecnica ma un modo di vivere pregnante di valori etici e la relazione fra insegnante e studente è parte integrante dell’insegnamento. Sia l’insegnante che lo studente devono dunque osservare ed essere consapevoli dei ruoli che si giocano in questa relazione, che è per definizione asimmetrica: si presuppone che l’insegnante sappia qualcosa che lo studente ancora non sa, ma anche che abbia saputo mettere a frutto per se stesso i contenuti dell’insegnamento che trasmette.
Quindi l’insegnante di consapevolezza, sia che operi attraverso lo Yoga che attraverso la Meditazione, è bene che si sia posto seriamente il problema della sua formazione personale, che si sia messo in discussione, che abbia dedicato tempo a conoscere se stesso e le proprie motivazioni, ovvero come si recita nella pratica della Metta, che si sia occupato di “tutto ciò che conosce e di tutto ciò che non conosce di sé, di tutto ciò che gli piace e di tutto ciò che non gli piace di sé e che lo abbia accettato con amorevole gentilezza” .
Chi si avvicina alla Mindfulness e allo Yoga di consapevolezza deve guardare l’insegnante a cui si affida e non sceglierlo solo per comodità (“ho il centro sotto casa”) ma per la percezione che ha della sua autentica e sincera intenzione di trasmettere una pratica di cui ha esperienza e, soprattutto, della qualità della relazione che sa instaurare con lui. Una volta scelto deve evitare di idealizzarlo, perché non sarà perfetto, ma neppure evitare di avvicinarsi perché, se la relazione è sana, sarà proprio l’interazione insegnante-studente che favorirà la trasformazione della sua mente verso la liberazione dai condizionamenti.
L’insegnante di Consapevolezza
Il ruolo dell’insegnante è di rispondere ad una richiesta di aiuto, che può essere sia consapevole ed esplicita sia inconsapevole e dissimulata da richieste più superficiali come il bisogno di rilassarsi, il bisogno di gestire le proprie emozioni, o semplice curiosità. In un contesto di Yoga o di Mindfulness egli viene chiamato insegnante di consapevolezza in quanto, fintanto che lo studente gli chiede sostegno, egli si prende la responsabilità di rispondere alla sua richiesta. E, il suo lavoro, se svolto con generosità, interesse per l’altro, onestà intellettuale e amorevole gentilezza, diventa una grande opportunità e una risorsa per la crescita interiore di entrambi. Se invece, competenza e carisma fossero in realtà usati per ingrandire la propria idea di sé, e per accrescere l’importanza personale, sarebbe un delirio molto pericoloso! Per proteggersi da questo rischio è fondamentale che l’insegnante abbia fatto a sua volta il percorso che propone, che rimanga sempre aperto a mettersi in discussione e, anche quando sono gli studenti a farlo, che mantenga aperta una supervisione e un confronto con qualcuno di cui si fida per non rischiare l’autoreferenzialità.
In definitiva, l’insegnante di consapevolezza, non è un professionista grazie ai titoli che ha ottenuto, non è “uno più avanti”, e non è un Maestro, ma è qualcuno che ha il coraggio di esporsi per insegnare non tutto ciò che è scritto sui libri ma ciò che egli ha effettivamente capito e sperimentato nella propria vita; qualcuno che cerca di rimanere coerente con i principi che insegna, qualcuno che sa aprirsi a se stesso e quindi all’altro, che conosce e usa la meditazione e l’attenzione consapevole, qualcuno che ha come direzione il perseguimento della azione disinteressata e delle virtù fondamentali dell’amorevole gentilezza e della compassione. Certamente anche l’insegnante può cadere, ma l’importante è che ne sia consapevole, che lo sappia riconoscere e che faccia del suo meglio per riprendere la giusta Direzione. Insegnare consapevolezza è il lavoro più sublime che si possa fare, è un grande onore e una grande responsabilità, perciò l’insegnante è tenuto a coltivare le qualità dell’autenticità, della coerenza, e dell’umiltà.
La relazione d’aiuto
Pur non essendo obbligatoriamente un counselor professionista, il lavoro dell’insegnante di consapevolezza si iscrive nel campo della relazione d’aiuto. Cosa si intende per relazione di aiuto? Carl Rogers nel 1951 ha definito la relazione d’aiuto come “una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato.”
Il compito dell’insegnante, come quello del counselor, è dunque quello di valorizzare le risorse personali del soggetto, la maggiore possibilità di espressione di tutte le sue parti, da quella più istintuale ed emotiva fino a quella più intuitiva ed elevata; un lavoro che si svolge attraverso una relazione umana consapevole ed intenzionale, in cui l’operatore sappia integrare le qualità del cuore con le competenze e soprattutto sappia vivere la relazione nella presenza e nel contatto non giudicante con quello che realmente lo studente sta portando.
Per poterla trasmettere egli deve aver saputo sviluppare la capacità di riflettere sui propri stati interiori, affettivi, cognitivi ed emotivi, capacità indispensabile per poter comprendere la mente altrui, evitando così di confondere il proprio mondo interno con quello dell’altro: un monitoraggio che regola il comportamento specifico della relazione d’aiuto Mindfulness.
Il modello di relazione studente-insegnante che ha le sue radici nella psicologia yogica e buddhista, è centrato sull’accettazione empatica dello studente con tutto quello che egli vive sul piano psicofisico e quindi nei tre livelli di corpo-energia e mente, nel completo rispetto della soggettività dell’esperienza: una accettazione equanime e non giudicante, volta a promuove la crescita interiore, attraverso una matura ed autentica capacità di relazionarsi con se stessi e con la realtà così come è nel presente dell’esperienza che sta vivendo.
L’articolo completo è pubblicato sul numero 83 di Vivere lo Yoga