La psicologia transgenerazionale ad approccio immaginale

L’approccio transgenerazionale considera il progetto di vita di una persona influenzato in qualche modo dal destino e dalle vicende familiari. Nel momento del suo concepimento un individuo riceve un “compito” proprio per compensare un certo tipo di destino. Per approfondire l’argomento abbiamo rivolto alcune domande a Selene Calloni Williams, direttrice di Imaginal Academy, nonché esperta in psicologia transgenerazionale.

Cosa si intende quando si parla di compensare un certo tipo di destino?

«Se prima della nascita, la madre ha subìto degli aborti, il figlio riceverà anche gli incarichi che i genitori avevano proiettato sul bambino che non è nato. Il concetto di progetto di vita, definito da alcuni autori “progetto senso”, è un tema centrale dell’approccio transgenerazionale».

Quanto determina l’influsso degli avi sulle scelte di una persona?

«Secondo la psicologia transgenerazionale, l’influsso degli avi sul nostro progetto di vita è evidente. Un figlio non viene concepito, atteso e generato solo per se stesso, ma per obbedire a sogni e desideri, il più delle volte inespressi o irrealizzati, del clan familiare. I genitori proiettano sul figlio sogni e aspettative talvolta inconsce. Nella pratica delle costellazioni familiari ad approccio immaginale “evochiamo” gli avi e li facciamo vivere sulla scena di uno psicodramma, in cui è centrale anche l’atto poetico. È la poesia che, alla fine, redime dalla paura».

Da dove deriva l’approccio immaginale?

«L’approccio immaginale deriva dalla psicologia archetipica di James Hillman e dalla visione del suo maestro, C.G. Jung. Applicato alle costellazioni familiari, l’approccio immaginale punta a dare al dramma che gli avi portano sulla scena una dimensione epica che li riscatta. Nell’uscire dal carattere individuale della nostra storia, nell’accedere a una dimensione mitica, vi è una trasformazione della paura e dell’ansia in una sorta di forza. Le vicende occorse agli avi sono registrate nella memoria del clan familiare in modi simbolici. I simboli sono energie. La visione immaginale dell’evento come simbolo consente di trasportare l’evento stesso a un’altezza epica, mitica e gloriosa.

A mezzo della visione immaginale l’individuo eleva se stesso a un piano eroico e mitico, al di là del senso comune della colpa e del peccato, riscattandosi. È grazie a questo riscatto che ciascuno può scoprirsi guarito dal bisogno di aderire all’autoboicottaggio e trovare altre vie – quelle dell’autorealizzazione – per onorare i propri avi. L’ansia vissuta, assurgendo alla dimensione mitica, si trasvaluta e altrettanto accade al significato dell’esperienza, tanto che i nostri disagi, i nostri limiti, disturbi e difficoltà si mostrano come i migliori eventi che ci siano mai capitati, fonte di forza e ispirazione».

Qual è il compito di chi mette in scena una costellazione in chiave immaginale?

«Il compito è nobilitare le nevrosi ricevute in eredità dal clan familiare. Esse infatti sono demoni nel senso di daimon, spiriti, dèi, numi, eidola, temi mitologici, e hanno bisogno di essere riconosciute: se ciò avviene, si trasformano nei nostri più potenti alleati.

«Durante lo svolgersi dello psicodramma i rappresentanti, impersonando gli avi, ne evocano le emozioni così come esse sono state registrate nella memoria del clan familiare e tramandate. Grazie a questo approccio il rapporto con gli avi cambia: essi non sono più dei pesi, ma divengono l’humus da cui traiamo il nutrimento, quali che siano la loro storia, i fatti che gli sono attribuiti e le emozioni che vi sono associate».

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