Per effetto della pandemia, i casi di burnout sono aumentati in varie parti del mondo. In Italia, è stato rilevato che le categorie professionali maggiormente toccate da questo disturbo sono i medici e gli infermieri. Anche in altre nazioni europee, si è registrato un aumento delle persone soggette a questa sindrome. Dalla Francia alla Danimarca, passando per l’Olanda, la pandemia ha fatto emergere lo stretto collegamento tra benessere e organizzazione lavorativa.
La recente definizione di burnout diffusa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolinea che si tratta di una sindrome collegata a uno stress cronico, che trae origine proprio dall’ambiente e dall’organizzazione lavorativa. Si tratta di uno stress non gestito con successo. Tra i sintomi vi sono una sensazione di esaurimento, o di debolezza a livello energetico, e una diminuzione dell’efficienza professionale.
L’Olanda è tra i paesi europei dove questo problema è maggiormente diffuso e sentito. Per approfondire questo argomento delicato, abbiamo intervistato Paola Brignoli, che da circa tre anni vive e lavora in Olanda. Oltre a essere insegnante di yoga, nonché esperta in Medicina Tradizionale Cinese, Paola è Corporate Wellbeing Provider.
I casi di burnout sono aumentati per effetto della pandemia. Qual è la tua impressione di fronte a ciò che è accaduto e sta accadendo?
«Rispondo a questa domanda agganciandomi al titolo di un libro non ancora tradotto in Italia, ovvero The Burnout Epidemic, “la pandemia del burnout”, di Jennifer Moss (in uscita il 28 Settembre 2021, nel momento in cui pubblichiamo questa intervista, N.d.R.). L’Autrice sottolinea come questo disturbo fosse già diffuso e percepito in vari Stati, già prima del problema Covid. La propagazione del virus, i lockdown e tutto ciò che ne è conseguito non hanno fatto altro che intensificare e aumentare i casi di burnout. Lo confermano i dati recenti. Questa crescita è dovuta a vari fattori. Certamente la pandemia ha ampliato il numero delle persone che ne soffrono. Ma c’è di più.
Negli ultimi anni, risulta più chiaro riconoscere i sintomi del burnout. Questo è stato reso possibile anche grazie all’intervento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha dichiarato il burnout “una vera e propria sindrome legata all’ambiente di lavoro”. Anche le persone che curano un familiare malato o un anziano rischiano di essere soggetti a questa sindrome. In generale, però, i maggiori casi di burnout si registrano in determinati ambienti lavorativi. Essi derivano da una condizione di stress cronico, che è stata mal gestita.
Il lockdown, i cambiamenti sociali, la paura del contagio e il lavoro da remoto sono stati fattori che hanno accresciuto il problema. Solo poche aziende all’avanguardia hanno cercato di considerare il benessere dei propri dipendenti, attivando una serie di misure volte ad attenuare le conseguenze negative della pandemia. In più, c’è da dire che molte persone in smartworking hanno visto aumentare il loro carico di lavoro durante il lockdown, ma anche dopo. Ciò è dovuto al fatto che, lavorando da casa, non risulta più chiara la distinzione tra vita privata e vita professionale. Questo ha lasciato molti strascichi, dovuti anche alla gestione più complessa dell’educazione dei bambini. A tutto ciò si è aggiunta la mancanza di interrelazioni, anche in ambito lavorativo. Infatti, alcune ricerche hanno evidenziato come i rapporti professionali costruttivi e profondi permettano alle persone di gestire meglio i carichi di stress».
Qual è stato il tuo primo incontro con il mondo del burnout?
«Come insegnante di yoga il mio primo caso di burnout l’ho visto proprio quando mi sono trasferita in Olanda. Ho seguito un ragazzo molto giovane che soffriva di questa sindrome. Grazie alle tecniche meditative e a pratiche yoga mirate, con il supporto di una psicologa, questo ragazzo è riuscito a riprendere in mano la sua vita e a ritrovare il suo equilibrio.
Da quando sono in Olanda, come insegnante di yoga ho visto un aumento delle persone che soffrono di questa sindrome. Occorre sottolineare che nei Paesi Bassi c’è una maggiore disponibilità nel riconoscere a se stessi e agli altri di trovarsi in uno stato di burnout. Le persone che ne soffrono lo esprimono apertamente, senza paure, né condizionamenti.
A livello aziendale, però, si fa ancora molta fatica a introdurre progetti e azioni concrete che possano sostenere i dipendenti a gestirlo. In ogni caso, in Olanda le persone sono molto attente al cosiddetto “work life balance”, cioè all’equilibrio tra vita privata e vita lavorativa. In Italia si ritiene che più si è impegnati, “busy”, più si ha valore. Ma questa dinamica rappresenta proprio uno dei trigger che porta al burnout».
Sei insegnante di Vinyasa e Yin Yoga. Come lo yoga può essere d’aiuto nel prevenire e trattare il burnout?
«Io insegno Vinyasa e Yin Yoga. Il primo è uno stile molto dinamico, attivo, il secondo è più rilassante ed è molto vicino alla meditazione. In base alla mia esperienza, entrambi gli stili aiutano a gestire lo stress cronico, che è la base da cui si sviluppa la sindrome da burnout. Mente e corpo sono strettamente legati. Ciò che accade a livello mentale ha ripercussioni sul piano fisico e viceversa. Lo yoga è benefico proprio perché agisce in modo olistico.
Sappiamo che lo stress ha effetti negativi, per esempio, sulla pressione sanguigna, sul respiro, sul battito cardiaco. Lo yoga, attraverso movimenti mirati, va a lavorare in profondità, agendo positivamente sulla fisiologia e sulla circolazione energetica. Ci permette di prenderci cura di noi stessi. Ci porta a rivolgere l’attenzione al nostro mondo interiore, sganciandoci da ambienti pieni di stimoli. Riusciamo a riconnetterci con la nostra parte più profonda.
Questo aspetto è fondamentale per ridimensionare ciò che ci accade, donando una nuova prospettiva agli eventi. Rivolgendo l’attenzione al nostro interno e cogliendo i messaggi che corpo e mente ci mandano, la pratica dello yoga permette di portarci in ascolto di noi stessi, e di comprendere il nostro stato psicofisico. In questo modo, ci possiamo accorgere quando ci stiamo avvicinando a uno stato di affaticamento e burnout».
Per prevenire lo stress cronico, quanto tempo si dovrebbe praticare yoga nel corso della settimana?
«Bisognerebbe coltivare il benessere psicofisico tutti i giorni, che può essere attuato con modalità diverse. Per esempio, si può meditare 10 minuti ogni giorno e praticare yoga per un’ora alla settimana, o un’ora quotidianamente. Il mio suggerimento è quello di crearsi una propria routine di yoga, che sia compatibile con gli impegni che abbiamo in un certo periodo. Magari quando siamo in vacanza, in estate, o nei weekend, se abbiamo più tempo, possiamo aumentare il tempo della pratica. In generale, consiglio, almeno agli inizi, di praticare yoga una volta alla settimana, e di meditare 5-10 minuti tutti i giorni. Quindi non partiamo con obiettivi troppo grandi, meglio incominciare con piccoli passi».
La pandemia è stata ed è un evento sconvolgente. Tuttavia, sta facendo emergere nuove sensibilità, anche nel mondo lavorativo. Infatti, varie aziende stanno iniziando a considerare sempre di più il benessere dei propri dipendenti. In tal senso, cercano di creare un ambiente e un’organizzazione lavorativa che possa in qualche modo prevenire stress e burnout. Tu sei anche Corporate Wellbeing Provider. Dal tuo punto di vista, cosa sta cambiando?
«Il Corporate Wellbeing Provider è una figura piuttosto nuova per l’Europa. Io mi sono formata anche grazie a percorsi con coach statunitensi. In effetti, negli States questa figura è maggiormente conosciuta e richiesta. Da noi sta lentamente emergendo. Soprattutto a causa della pandemia, questa figura si rivela di supporto in varie aziende sensibili al benessere dei propri dipendenti. Personalmente, come Corporate Wellbeing Provider integro tra loro varie competenze, che vanno dalla mia esperienza di economista alla mia attività di insegnante di yoga e meditazione. A ciò aggiungo conoscenze legate alla medicina tradizionale cinese. Non c’è una formazione specifica per diventare Corporate Wellbeing Provider e, purtroppo, non è nemmeno una professione certificata, ma credo e spero che in futuro molte aziende diventeranno maggiormente attente al benessere dei propri dipendenti, magari introducendo anche classi di yoga e meditazione».
In qualità di insegnante di yoga, visto che tra non molto inizierà la stagione autunnale, puoi dare un consiglio ai nostri lettori per cercare di prevenire stress?
«L’indicazione principale è quella di stare molto attenti alla gestione delle nostre energie. Stiamo andando verso l’autunno e le restrizioni legate alla pandemia si stanno assottigliando sempre di più. Per questo, ci può essere la tendenza a riempire la giornata di impegni. Il mio consiglio è quello di prendersi dei momenti per stare con se stessi. L’autunno è una fase in cui la natura incomincia a ritrarsi, c’è meno luce. Tutto questo ci spinge verso una maggiore introspezione e ciò è fondamentale.
È importante anche prendersi dei momenti per capire a che punto siamo: fare una valutazione, una sorta di check con se stessi. Lo si può fare ponendosi alcune domande: “Come è andato quest’anno fino a questo momento?”. Inoltre, non potendo trascorrere più molte ore all’aria aperta, ci si può chiedere: “Dove voglio direzionare questo mio tempo?”
Consiglio di trovare momenti per stare nella natura, perché ha un effetto rilassante sul sistema nervoso. Infine, anche l’alimentazione è fondamentale. Con l’arrivo delle giornate più fredde occorre mantenere il corpo caldo privilegiando cibi riscaldanti. Fare delle cose per se stessi è un ottimo antidoto per prevenire il burnout».
Paola Elena Brignoli
“Con un passato da economista in Italia e un presente come insegnante yoga ad Amsterdam, Paola guida gli allievi in pratiche in cui riscoprire la propria strada utilizzando lo yoga come bussola interiore. Paola combina la creatività delle sequenze con l’attenzione all’allineamento, mescolando elementi di vinyasa e yin, donando energia ed equilibrio interiore.”